Celebrare il centenario della morte di Enrico Caruso vuol dire, soprattutto, ricomporre la frattura tra il tenorissimo e Napoli. A parte i fischi, veri o presunti, al San Carlo, la sua carriera trovò altrove, a New York, l'apice ed è giusto far partire questa festa in suo onore partendo dagli inizi della sua storia e della sua arte, quando faceva il posteggiatore, quando la sua voce iniziava a misurarsi con le amate canzoni napoletane. Prima di qualsiasi romanza, c'era, anche per lui, cantaNapoli. E cantaNapoli sarà in questo carosello di capolavori immortali, compresa quella “Core 'ngrato” che per lui fu scritta, in napoletano, a New York, da due emigrati, il calabrese Cordiferro e il partenopeo Cardillo, che la considerava “una porcheriola”. Ma don Enrico la cantò, al Metropolitan, in una Grande Mela ricoperta dalla neve, ci mise dentro la sua vita, la sentì autobiografica nel messaggio dell'amore tradito. Poi la incise. La canzone napoletana aveva un nuovo classico, sia pur lanciato dall'altra parte dell'oceano, i tenori di tutto il mondo avevano un nuovo cavallo di battaglia obbligatorio.
Caruso scrive con la sua voce, il suo corpo, la sua leggenda, la storia della canzone napoletana, ecco, allora, riproposto il suo repertorio verace: classici, canzoni scritte per lui, canzoni scritte da lui, con l'aggiunta, naturalmente della “Caruso” di Lucio Dalla: potenza della lirica, dove ogni dramma è un falso.
Con il rispetto che si deve per la voce più leggendaria di tutti i tempi, l'approccio al canzoniere napoletano di don Enrico non è belcantistico, nonostante una sigla- provocazione, affidata all'unico tenore convocato, Bruno Venturini. Protagonisti ed arrangiamenti vengono dalla scena contemporanea napoletana, sono cantautori del calibro di Enzo Gragnaniello che si fa interprete per le delizie di “Core 'ngrato”, appunto, e “Tu ca nun chiagne”. Sono pantere maghrebine come M'Barka Ben Taleb che porta nella sua terra, e nella sua lingua araba, anche “'O sole mio”. Sono voci e gruppi e plettri giovani, che rispettano la tradizione ma per restiruirle le ali, un approdo alla contemporaneità: Roberto Colella (La Maschera), Filly Lupo, Claudia Megrè, Irene Scarpato (Suonno d'Ajere), Sara Tramma. E sono gli ultimi cantanti chitarristi, memori della lezione del Caruso posteggiatore: Carlo Missaglia e Mario Maglione.
Intorno a loro, e agli arrangiamenti da moderno concertino, antichi come post-moderni, Lalla Esposito e Noemi Guerrero imbastiscono il racconto del Caruso di cantaNapoli, della cantaNapoli di Caruso.
Bentornato a casa, don Enrico.

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